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LA VILLA ROMANA DI
MONTETORTO |
I
patrizi romani, dopo le guerre di conquista, erano in possesso di estesi
terreni e numerosi schiavi,per cui costituirono delle ville in campagna
per coltivare i terreni e commerciare i prodotti ottenuti.
Le ville comprendevano
tre parti:la pars urbana, che era l’abitazione del dominus e assomigliava
alla domus; la "pars rustica",
che serviva da abitazione al "vilicus",
il fattore, agli operai e agli schiavi impegnati nel lavoro dei campi; la
"pars fructuaria", utilizzata
per la conservazione e la lavorazione dei raccolti.
Per la costruzione della
villa dovevano essere rispettati alcuni criteri:la posizione adatta era su
un’altura, ma a metà monte per essere riparata dai venti, possibilmente in
prossimità del mare per mitigare il clima o di un fiume.
Doveva, inoltre, essere servita da un acquedotto per l’approvvigionamento
di acqua potabile e vicino a vie di comunicazione per facilitare il
commercio dei prodotti ottenuti. Per la costruzione si dovevano usare
materiali locali.
La villa Romana di Montetorto risponde a tutti i criteri elencati:
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- è situata a
metà monte, verso la vallata si scopre un bellissimo panorama, molto
aperto, quindi ben areato;
- nella valle
scorre il fiume Musone e si trova un ‘importante via di
comunicazione, ora strada provinciale, che mette in comunicazione
Osimo con Jesi e Cingoli;
- non esistono
acquedotti romani, ma la villa era servita da una sorgente d’acqua
perenne situata sulla sommità della collina e collegata da tubazioni
di terracotta ritrovati durante gli scavi;
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- i materiali
usati sono mattoncini di terracotta ricavati dal terreno argilloso,
il calcestruzzo ottenuto impastando la malta con sassi o scarti di
costruzione e il cocciopesto: sabbia mescolata a pezzi di cocci ed
utilizzato come isolante per l’umidità.
Nella villa ne troviamo un esempio in un cordolo costruito per
impedire agli animali di entrare nell’ambiente vinilico.
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Dalla villa di
Montetorto si è trovata soltanto la “pars
fructuaria” infatti c’è il magazzino dove sono stati
rinvenuti alcuni “doli”,
grandi contenitori di terracotta molto spessi per renderli più
robusti, utilizzati per conservare prodotti solidi o liquidi.
Ci sono,poi, gli ambienti dei
torchi per la lavorazione dell’uva e delle olive.
I torchi non sono
stati ritrovati, ma ne abbiamo dedotta la presenza dai basamenti in
pietra dove erano inserite due travi in legno di leccio, che servivano
a sostenere la trave del torchio e grandi cerchi convessi, pavimentati
a spina di pesce, dove venivano torchiate le olive e l’uva.
La vita nella villa è durata circa
900 anni, non di continuo, ma in sei fasi.
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Dalla prima
fase che risale al 3° secolo a.C. è rimasto un pezzo di pavimento
in tegole rovesciate che forse apparteneva all’ingresso del cortile
della villa.
La fase più importante è la seconda che risale al 1° secolo d.C. e
comprende i due ambienti di torchi oleari e vinari.
Intorno al cerchio di spremitura delle olive è stato ritrovato un
fossetto per la raccolta del liquido di spremitura e dei cataletti che
trasportavano il liquido in tre vasche: nella prima andava l’olio di
prima spremitura da usare subito, nelle altre due, comunicanti
attraverso un tubo di troppo pieno, l’olio doveva rimanere per la
decantazione.
L’acqua di scarto era utilizzata come fertilizzante dei campi. |
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L’ambiente dei torchi vinari è
meglio conservato, bellissimo è il pavimento
di mattoncini a
spina di pesce.
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I canali di raccolta
del liquido di spremitura, portavano il mosto in una vasca interrata
che serviva alla fermentazione.
La
terza fase della vita della villa non è importante, perché ha
una frequentazione sporadica, invece durante la quarta fase,
che risale al 4° secolo d.C., l’insediamento viene utilizzato
come fornace per la lavorazione dei metalli e per la cottura
di oggetti di terracotta.
Infatti sono stati
ritrovati diversi attrezzi metallici, uno stampo per la costruzione di
lucerne di terracotta, delle chiavi e diverse buche rotonde dove
venivano sistemati gli oggetti da cuocere, sopra si accendeva il fuoco
e funzionavano le fornaci.
La presenza di terra
rossiccia, quindi bruciata, è un ulteriore documento che conferma
tutte le ipotesi.
Durante la sesta
fase la zona viene utilizzata come cimitero per le popolazioni del
luogo.
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